COME IMPIEGARE 48 MILIONI DI EURO DESTINATI AL TURISMO

GHNET FEBBRAIO 2007

Nel 2007 fu istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del Turismo, assegnandogli 48 milioni di euro allo sviluppo del settore: in questo post, proposte su come potevano essere impiegate quelle risorse.

 

Un inizio promettente

A sei anni dalla Legge 135 il turismo è tornato ad essere oggetto di attenzione da parte del governo che inizia a riconoscere il ruolo centrale del settore nell’economia nazionale. L’insediamento del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia Nazionale del Turismo (ex ENIT) e l’adeguamento delle sue dotazioni finanziarie portate per il 2007 a 51 milioni di euro confermano questo nuovo corso. Tuttavia la possibilità di mettere al lavoro managerialità e competenze per una gestione operativa dell’ente all’altezza dei compiti è, al momento, un quesito aperto mentre l’esito della vicenda relativa alla tassa di soggiorno è un’occasione mancata per il turismo italiano.

Il segnale decisivo è l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo, con una dotazione di 60 milioni di euro l’anno. La legge finanziaria 2007 destina 10 milioni al sostegno del settore turistico, 2 milioni all’Osservatorio Nazionale del Turismo e i restanti 48 milioni di euro allo sviluppo del settore turistico per l’adeguamento dell’offerta delle imprese turistico-ricettive, e per favorire l’unicità della titolarità tra la proprietà dei beni ad uso turistico-ricettivo e la relativa attività di gestione, … inclusi i processi di crescita dimensionale (art. 1 n. 1228).

Nell’attesa che il decreto governativo regoli modalità e individui gli strumenti attuativi, occorre sottolineare che il dispositivo legislativo destina le risorse direttamente alle imprese. Perciò, l’individuazione di chiari obiettivi faciliterebbe interventi decisi ed efficaci oltre ad essere una buona occasione per lasciarsi alle spalle la tradizione italiana dei micro-interventi a pioggia che dissipano le risorse senza incidere significativamente sui risultati.

Il sostegno alle imprese si colloca in uno scenario internazionale dove il sistema Italia perde progressivamente quote di mercato: il 5,4% a livello mondiale nel 2000 che secondo le proiezioni del WTO sarà il 4,4% nel 2010 e il 3,4% nel 2020. E’ uno scenario in cui le performance delle nostre aziende, se non sono in calo, crescono meno dei competitor stranieri; risentono di un mercato in continua evoluzione, dove fattori come rapporto qualità/prezzo, servizi, capacità promo-commerciale, tecnologia e innovazione decidono chi avanza e chi cresce, chi è destinato a fermarsi o ad essere espulso. L’approfondita analisi di ulteriori dati italiani e internazionali che abbiamo condotto negli ultimi mesi consolida la tesi espressa in più occasioni: occorre dedicarsi con urgenza a migliorare i caratteri fondamentali dell’offerta turistica italiana cioè l’hardware del sistema, avendo presente la questione delle imprese e della loro redditività.

Far crescere l’impresa

Poiché non c’è alcun bisogno di cemento, non si tratta di dare avvio a una nuova stagione di ampliamenti degli alberghi, né di sostenere nuove iniziative turistico-immobiliari. Il recente studio sul settore alberghiero italiano di Banca Intesa, mostra che le strutture ricettive — quasi un quinto delle camere d’albergo in Europa — hanno dimensioni certo non enormi — circa 30 camere — ma in linea con la media degli altri paesi. E’ invece guardando alle impreseturistiche che emerge con chiarezza la specificità italiana: se non si considerano le catene alberghiere, che per altro rappresentano appena il 9% , l’azienda turistica italiana gestisce, spesso a carattere familiare, una sola struttura e quasi sempre al di fuori di rilevanti accordi commerciali con i GDS e i TO, motori dei flussi turistici europei.

Per restituire competitività non si può eludere il nodo della dimensione d’impresa. I dati ISTAT ad esempio identificano un legame diretto fra la dimensione media delle strutture ricettive e il loro grado di utilizzazione. Altrettanto significativo è quel che emerge dai dati Eurostat sull’occupazione in Europa. Se confrontiamo tre paesi, in diversi periodi del 2005, il tasso di riempimento lordo, nel mese di maggio, era nelle strutture italiane del 32%, in Spagna del 46% e in Grecia del 49%; in alta stagione (agosto): in Italia del 66%, in Spagna del 72%, in Grecia del 91%; di nuovo, in bassa stagione (ottobre): in Italia del 28%, in Spagna e in Grecia il 46%. Il distacco è molto evidente e non diminuisce anche se si considera l’occupazione al netto delle chiusure stagionali, poiché l’aumento dei valori è minimo e non modifica il quadro d’insieme.

Le due principali direttrici secondo le quali impegnare la maggior parte dei 48 milioni hanno quindi origine da queste considerazioni. La crescita dimensionale va sostenuta:

a) mediante l’aggregazione di più imprese (della filiera orizzontale e meglio ancora di quella verticale) in un unico soggetto giuridico, attraverso acquisizioni, conferimenti o fusioni; b) incentivando l’acquisto di immobili destinati alla ricettività da parte di imprese turistiche, in modo da favorire l’unicità della titolarità tra la proprietà e l’attività gestionale. Questa ultima sarebbe una misura utile per riportare il vantaggio economico dall’area della rendita (sulla quale si è trasferito da tempo, soprattutto nei distretti turistici maturi) all’area del profitto, come sarebbe naturale in un sistema produttivo sano e vitale. Le due misure non sono affatto indipendenti, ma piuttosto conseguenti. Infatti, solo l’irrobustimento del tessuto imprenditoriale può spostare l’interesse verso l’acquisizione di immobili da parte dei gestori, e poiché l’inverso è tendenzialmente diseconomico, l’accorpamento di imprese (frutto di scelte di medio e lungo periodo) può favorire il ricongiungimento proprietà-gestione, utile anche ai fini dell’accesso al credito, in vista di Basilea 2.

E’ pur vero che la dimensione delle aziende è il tema non solo del settore turistico ma dello sviluppo economico del Paese, tanto che il cosiddetto decreto competitività 35/2005, propone misure proprio in questo ambito.
In virtù anche dell’analisi sopra esposta una quota rilevante delle risorse disponibili andrebbe quindi destinata all’istituzione di un fondo nazionale di garanzia per lo sviluppo dell’economia turistica, gestito attraverso il coinvolgimento di banche e confidi al fine di sostenere le imprese che intendono fondersi ottenendo un accesso agevolato al credito e le relative garanzie a copertura. Se per ipotesi fossero destinati 30 milioni al fondo di garanzia, con la partecipazione del sistema bancario queste risorse potrebbero raddoppiare ed essere quindi capaci di sostenere investimenti e garanzie per 800 milioni di euro all’anno, circa 2,5 miliardi in tre anni. Se debitamente illustrata e comunicata, una misura simile potrebbe rapidamente generare effetti competitivi di sistema.

Se si volesse poi continuare nella stessa direzione, la Finanziaria 2008 dovrebbe prevedere ulteriori incentivi di natura fiscale, a cominciare dalla rivalutazione nei bilanci degli immobili produttivi delle imprese turistiche, così come ha proposto Costanzo Iannotti Pecci (Federturismo — Confindustria) nell’ambito del workshop organizzato recentemente a Napoli da Ambrosetti. Ancora di più ed in misura migliore, si potrebbe intervenire con un pacchetto competitività 2008–2011 per introdurre: a) una Flat Tax in sostituzione di IRES e IRAP per i sucessivi tre anni dall’atto dell’accorpamento; b) la riduzione dell’aliquota fiscale sul plusvalore derivante dalla cessione, ad una impresa turistica, dell’immobile; c) l’estensione delle agevolazioni fiscali, introdotte dalla legge 449/97, alle ristrutturazioni delle strutture turistico ricettive fino all’abbattimento del 50% del costo degli interventi di natura strutturale.

Sostenere l’incoming

Alla piccola dimensione delle imprese si accompagna di solito un’attitudine prudente se non diffidente verso consorzi, aggregazioni commerciali e reti strutturate che sono uno strumento indispensabile per l’ efficace presenza sui mercati esteri. Internazionalizzare la distribuzione del prodotto produce effetti benefici sulla destagionalizzazione ma occorre modellare un’offerta adeguata alle esigenze dei mercati esteri per accrescere i livelli di occupazione delle strutture. In questo caso, come abbiamo visto, la dimensione dell’impresa è importante ma non è l’unico fattore in campo.

Per potenziare l’incoming si deve inoltre incidere sulla capacità commerciale del sistema turistico italiano e in particolare su quegli aspetti che si presentano come difetti. Consapevoli di ricorrere ad una semplificazione, si segnalano: a) la disparità fra la dimensione dell’offerta e le dinamiche sempre più globali della domanda che si manifesta quando i luoghi di produzione non incontrano i flussi commerciali, quando cioè le micro-imprese italiane hanno bisogno di rivolgersi agli intermediari del trade, GDS, TO, ADV; b) la difficoltà di mettere in co-produzione il sistema ricettivo con quello della mobilità e dei trasporti: in Italia è ancora una rarità trovare il giusto amalgama commerciale tra un posto letto e una poltrona; c) l’inadeguatezza della dotazione tecnologica richiesta per ottimizzare le performance delle aziende all’interno dei nuovi canali commerciali e distributivi a cominciare dal Web.

Per agire anche su questo versante si può attivare, con una altra parte dei 48 milioni, la seconda linea di intervento dedicata al sostegno dell’incoming, misura che però deve trovare la sua formulazione nell’apposito decreto attuativo per risolvere questi e non altri problemi. Dirottando risorse verso marchi, comunicazione e promozione, si rischia di sostenere iniziative estemporanee di scarsa e dubbia efficacia, farcite di fotografie e povere di reali offerte commerciali. Iniziative smoke oriented per le quali è facile sentirsi chiedere dai player dell’intermediazione: sorry,where’s the beef?

Il sostegno quindi andrà rivolto all’incoming pluri-regionali capace di coinvolgere soggetti aggregati della filiera verticale (strutture, ristorazione, intermediazione, imprese di logistica o vettori di trasporto internazionale, servizi a terra, etc.) per raggiungere esclusivamente i mercati esteri. La questione è tra l’altro particolarmente urgente nelle regioni del Sud, dove il buon potenziale, segnalato anche da dinamiche positive dell’attrattività turistica rilevate da una recente indagine Doxa, non è capace di valorizzarsi sul piano del trading.

Si potrebbe quindi istituire una apposita linea di finanziamento che eroghi contributi a fondo perduto per le azioni di promo-commercializzazione relative ai progetti di eccellenza, quelli cioè particolarmente interessanti ed incisivi.

Promuovere il sapere

La terza iniziativa infine potrà essere rivolta alla qualità dell’offerta formativa professionale. Se si parla in Finanziaria di aiuto alle imprese, è particolarmente strategico investire anche sul sostegno alla formazione e specializzazione dei lavoratori. È ormai assodato che la crescita di una nuova cultura d’impresa sarebbe un elemento di rilancio dell’intero turismo italiano, cultura che deve riguardare principalmente le funzioni manageriali e commerciali. A proposito, il già citato studio di Banca Intesa mostra anche che le strutture alberghiere italiane sono quelle, in Europa, che impiegano la minore percentuale di personale con un alto livello di istruzione: 5% di laureati, contro il 22% della Spagna.

Occorrerebbe pertanto, come proposto da Ambrosetti a Napoli, creare una scuola di eccellenza internazionale post-graduate di studi sul turismo e, nell’attesa che tale progetto prenda vita, sostenere un doppio e perciò proficuo incontro, tra imprese e università, e tra università italiane e università straniere. Non appaia strana l’ipotesi di un coinvolgimento diretto del sapere accademico internazionale: il turismo in Italia ha perso in qualità anche nel campo della conoscenza, che in altri sistemi sta invece sostenendo crescite economiche straordinarie.

La misura da attuare andrebbe quindi destinata al finanziamento di progetti formativi dedicati alle imprese esistenti e a quelle nascenti; un’agevolazione a loro indirizzata che trasformi la percezione del tempo dedicato alla formazione da costo sproporzionato ad acquisizione di vantaggi competitivi.