IL CONTRATTO LEGA/M5S NEL MERITO DELLE PROPOSTE PER IL TURISMO.

MEDIUM MAGGIO 2018

Nel contratto di governo fra Lega e M5S, un intero capitolo, il 28, è dedicato al Turismo. Un fatto storico se si considera che industria e manifattura non sono assurte allo stesso rango. È solo il frutto del bacio fra Salvini e Di Maio? Non importa.

 

 

Ovvero la dichiarazione del perturbante.

(Il turismo culturale è solo uno dei “turismi”). Fra parentesi e virgolette il nodo della questione. Turismo e Cultura non stanno nello stesso Ministero per via dei tanti monumenti e musei presenti sull’italico suolo. Si tratta del valore culturale dell’ospitalità italiana intrinseco e distintivo per l’economia che esso produce e per la sua competitività internazionale (antropologia, non marketing!). D’altra parte, nello stesso contratto (Cap. 7 – Cultura) si legge: “i beni culturali sono uno strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo in tutto il territorio italiano”. Si può dunque discutere se lasciare il turismo al MIBAC(T) o istituire (per legge) un apposito Ministero. Come fare con il Titolo V della Costituzione? Che ne pensano le Regioni? In ogni caso, la questione, non è prioritaria né decisiva. Esiste il Comitato Permanente per la promozione e valorizzazione del Turismo che coinvolge e collega sette Ministeri, le Regioni, i Comuni, i rappresentati delle Associazioni di Categoria. È il Comitato che indirizza l’attività e che propone al Ministro il da farsi, è l’organo della cosiddetta governance che ha dato vita, fra l’altro, al primo Piano Strategico del Turismo che sia mai stato approvato da un Governo.

L’ENIT è a metà del guado. Il passaggio da ente pubblico ad ente pubblico economico non è stato completato. La proposta gialloverde di riorganizzazione della governance è pleonastica. Piuttosto si faccia un ulteriore passo avanti: la trasformazione da ente pubblico economico a società per azioni assegnando la maggioranza del capitale a Cassa Depositi e Prestiti. Sono gli investimenti in infrastrutture che mancano (digitali, trasporto, accoglienza, formazione) e di un’ENIT che organizza fiere e gestisce like su Facebook, l’Italia e le Regioni non sanno che farsene. L’ENIT S.p.A. dovrebbe poter avviare l’ecosistema digitale del turismo attraverso investimenti, magari in partecipazione, con altri soggetti (FS, Alitalia e Poste Italiane?). La stessa ENIT S.p.A., controllata da CDP, potrebbe investire, attraverso appositi veicoli, in imprese turistiche e culturali favorendo l’innovazione e la crescita nei 5 ambiti decisivi per la competitività del sistema turistico e culturale italiano: formativo, digitale, commerciale, gestionale e della mobilità.

Il combinato disposto di una “web tax turistica” e di una “piattaforma nazionale di comunicazione e di e-commerce” è un’ottima proposta e di rilevante priorità. Non a caso la si trova già inserita nel Piano Strategico del Turismo (linee di intervento: B.1.1.-B.1.2.-B.1.3.-C.1.1.(punto a)-C.1.2.-C.1.3.(punto a)-C.3.1.-C.3.2.-C.3.3.-C.3.4.). Risolta la capestre questione del Parity Rate è necessario insidiare il duopolio americano che porta fuori dall’Italia circa 2 miliardi di € l’anno in provvigioni sulle prenotazioni. Come? Sono gli spagnoli di SEGITTUR ed i francesi di ALLIANCE-RESEAUX ad indicare la strada. L’Italia può fare meglio? Altre idee? Bene, avanti. Qualcuno ci ha provato senza successo, come me per esempio, al prezzo, fra l’altro, di un presunto conflitto di interessi. La ritenuta d’acconto del 20%, da applicare alle fatture che i nostri operatori turistici ricevono dalle Online Travel Agency (Booking, Expedia, Airbnb, etc…), permetterebbe di trattenere in Italia circa 400.000.000,00 di € all’anno. La si vuol chiamare web tax turistica? Lo si faccia.

Rincuora leggere della “non sufficiente e adatta formazione” in ambito turistico. È il capitale umano il principale fattore di competitività e l’Italia non sta facendo abbastanza per crescerlo, formarlo, introdurlo al mondo del lavoro. Mettere mano agli “Istituti Alberghieri Italiani” è una buona ipotesi. Nel realizzarla, si individuino i casi eccellenti (Romagna e Trentino Alto Adige/Südtirol) e i “college” diventino Scuole Superiori di Studi Turistici in grado di sostenere spin-off e nuove imprese dedicate alla valorizzazione e gestione del patrimonio culturale e immobiliare dello Stato.

Non è sensato abolire la tassa di soggiorno. Non le è per le casse dei Comuni italiani e per quanto, attraverso una puntuale riforma, si potrebbe realizzare con i relativi introiti. Interessante invece il fatto che non ci sia traccia della tanto mitizzata riduzione dell’IVA con buona pace delle Associazioni di Categoria che, ad ogni cambio di governo, insistono nel chiederla.

Fra gli annunciati e purtroppo non esplicitati “interventi in ambito di fiscalità e occupazione”, sarebbe utile che il nascente Governo dedicasse un apposito pacchetto di misure fiscali (flat tax permettendo) per incentivare: (i) le aggregazioni e le reti di impresa; (ii) le fusioni/incorporazioni fra società di gestione alberghiera; (iii) la separazione della gestione alberghiera dalla proprietà dell’immobile; (iv) le demolizioni e ricostruzioni ex-novo di hotel. Una buona misura, in “materia di occupazione”, potrebbe essere rappresentata dall’introduzione di benefici contributivi alle retribuzioni dei dipendenti di società di gestione di strutture alberghiere (in particolare quelle nate da fusioni/incorporazioni) purché assunti con contratto a tempo indeterminato. Data la stagionalità di alcuni servizi, un contratto di apprendistato pluri-datoriale permetterebbe a imprese e scuole di promuovere al meglio l’introduzione al mercato del lavoro dei più giovani.

Non avrebbe guastato leggere della purtroppo incompiuta riforma del Tax-Refund, di un pensiero sulla valorizzazione e riqualificazione dei distretti turistici, di investimenti strategici sul Piano della Mobilità (la nascita, per esempio, di una compagnia ferroviaria turistica italiana?) di raccolta e gestione dei dati (Osservatorio Nazionale del Turismo).